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La coltivazione di arance in Penisola si colloca nel medioevo (XIV secolo) sia dai mercantili genovesi che da religiosi francescani (tra i più meritevoli nella metà del 1800 c’è Padre Bonaventura cappuccino, missionario).
Di certo l'intensa corrente di esportazione diretta, con traffici marittimi con i principali mercati italiani ed europei portò poi ad ampliarsi e perfezionarsi con l’esportazione agrumaria, pare fosse iniziata a Sorrento nel 1833 per opera di mons. Onorato Wetel, che ingrandì un piccolo commercio.
L’arancia di Sorrento deriva dalla fusione di due cultivar: il “Biondo Sorrentino” e il “Biondo Equense”.

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La ricerca della qualità

Le coltivazioni beneficiano di protezioni dal vento e dalle gelate grazie a gabbie di legno di castagno (fiorente coltivazione dei Monti Lattari) che grazie a tali pergolati, coperti da reti di stuoie di paglia intrecciata, idonea perchè permeabile a poca luce e pioggia ma a difesa dei venti come quello di Tramontana al fine anche di ritardare la maturazione dei frutti, consentono di raccogliere il prodotto fino a tarda primavera.
Il succo di quest'arancia è consumato da secoli, come spremuta, presso i caratteristici chioschi degli acquafrescai napoletani.
Le piante sono di sviluppo rigoglioso e vigoroso. I frutti giallo-arancio con buccia di medio spessore e polpa succosa e dolce, poco agre, ricchi di numerosi semi.

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